Oxalà, talvolta chiamato Obatalà, è la massima
divinità del Candomblè, il Padre della vita e della fecondazione, il più
importante ed elevato di tutti gli Orixàs. È il primo e legittimo figlio di
Olodumarè, ossia Zambi, che è Dio. Olodumarè è tutto ciò che esiste, ma l'uomo
non può arrivare a comprenderlo con la propria ragione in quanto non è
abbastanza evoluto.
Oxalà è considerato il Signore delle Teste: del resto, per gli antichi africani nella testa risiede l'essenza di un individuo, quello che è realmente e che
sarà. Secondo la tradizione africana fu Oxalà a dotare gli uomini della testa,
del pensiero e perciò della loro individualità vivente. Questa prerogativa fa di lui anche un agente civilizzatore, una figura eroica a carattere mitico.
Oxalà è colui che sta sopra a tutti gli altri Orixàs, è la luce bianca in cui
sono presenti gli altri Orixàs. Egli si unisce con sua sorella Oduduà in un
amplesso cosmico che dà origine alla vita: Oxalà è il Cielo e Oduduà la Terra. Tra di loro, unico
collegamento, vi è l'Albero Sacro Iroko che affonda le sue radici nel suolo e con i
suoi rami accarezza le nuvole. La loro unione è un'unione d'amore, non
finalizzata al piacere fisico.
Dire che Oxalà e Oduduà hanno avuto dei figli è come dire che si sono
smembrati, si sono frazionati in altre manifestazioni di sé, negando loro
stessi come corpo per riaffermarsi come spirito.
In Brasile Oxalà ha due manifestazioni fondamentali che sono Oxaguiàn e Oxalufà, ossia
Oxalà da giovane e Oxalà da vecchio. Oxaguiàn è un guerriero coraggioso e
valente, che combatte per la giustizia e per il trionfo della Luce, mentre
Oxalufà è l'anziano, riflessivo e venerabile padre del Mondo, che incarna la
saggezza e la bontà dell'Onnipotente.
Si dice che quando fu creato il mondo, gli uomini, nonostante avessero occhi,
bocca e orecchie, non sapevano né vedere, né parlare, né sentire. Fu grazie a Obatalà che l'uomo poté prendere coscienza delle proprie possibilità e imparare a sfruttarle nel modo più produttivo. Fu dunque Obatalà che insegnò
all'uomo a camminare eretto e fu sempre lui che segnò quel passaggio evolutivo
che distingue l'uomo dagli altri viventi nel pianeta. L'etica di Obatalà è
quella del rispetto e della comprensione che si esplicano in un amore gratuito
e senza preconcetti di sorta. Il suo colore è ovviamente il bianco e, nel
sincretismo, è diventato Nostro Signore Gesù Cristo, inteso, nella concezione esoterica, come sacro essere solare.
Xangò è giustizia, ordine ed equilibrio. Assomma in sè
tutte le caratteristiche mitiche di Giove, il re degli dei olimpici. È sicuramente uno dei Santi più venerati nell'Umbanda e nelle altre
tradizioni afrobrasiliane. Deciso, forte e valoroso, è il simbolo delle istituzioni, della legge e del
governo, è il padre all'antica, autoritario, deciso, irremovibile. Xangò è l'uomo d'onore per
eccellenza, galante e donnaiolo, il macho per eccellenza, sposo mitico di Obà, Iansà e Oxùm, tre fiumi della Nigeria.
Il dominio di Xangò è sul fuoco e sulle rocce, sa essere esplosivo come un
vulcano e la sua voce è quella del tuono, di cui è padrone. "Caò
cabièsile!" è il suo Orikì (saluto cerimoniale), ma quando si avvicina la tempesta lo si implora dicendo: "Ekuà, Ekuà meu
pai": la furia di Xangò è infatti terribile e non conosce limiti o misure di
sorta.
Solo Oxalà può calmare questa forza della natura e placare la sua ira: quando
Xangò è adirato occorre rivolgersi subito ad Oxalà, per ammansire il Santo.
Passione cieca, desiderio, tradimento, tracotanza e
violenza sono generalmente i difetti di Xangò.
Come Orixà è simile a Ogùm e in certi canti sono considerati fratelli.
Secondo la leggenda, originariamente Xangò e Ogùm indossavano entrambi una
collana di perline rosse, fu il vecchio Oxalufà a incoronare Xangò come quarto
re del regno di Oyò e ad assegnargli una collana di sei perline bianche alternate
a sei rosse, per segnalare la sua stirpe regale.
La nascita del culto di Xangò viene tramandata con una leggenda: il re di Oyò
era sempre in guerra coi popoli confinanti sui quali, alla fin fine, riusciva
sempre ad avere la meglio. Un giorno si recarono da lui due guerrieri delle
città assediate: Tùnin, chiamato anche Agbalé Olofa Inàn, colui che scaglia
frecce di fuoco e Gbonkà, alto e forte come un gigante.
I due volevano che il grande re di Oyò insegnasse loro la vera arte della
guerra. Xangò accettò, ma si limitò negli insegnamenti temendo una futura
rappresaglia, anche perché i due giovani guerrieri, ogni giorno che passava,
acquisivano fama presso il popolo. Venne il giorno della guerra
e i due guerrieri, davanti ai dodici ministri istituiti da Xangò, dissero che
erano pronti, per provare la loro fedeltà, a morire per il loro re e che, se
Xangò avesse voluto, avrebbe lui stesso potuto ucciderli. Detto fatto: il re
fece armare una pira e ordinò che venissero bruciati vivi. Il rogo fu
preparato, ma le fiamme non scalfirono la pelle dei due guerrieri. Tùnin e
Gbonkà sopravvissero anche alla prova dei carboni ardenti. Allora Xangò ordinò
che venissero gettati nell'olio bollente: nulla accadde, i due resistettero.
Demoralizzato e umiliato, il re sparì davanti alla folla
stupefatta e disorientata da quei fatti prodigiosi. I giorni che seguirono, per
il regno di Oyò, furono dei peggiori: violenze tra la gente, nascite di bambini
deformi e lampi minacciosi, saette e tuoni, che serpeggiavano minacciosi per i
cieli. Tutti imputarono questa serie di disgrazie a Xangò: "È diventato un
Orixà!" dicevano.
Tùnin e Gbonkà tornarono ai loro paesi. Nel frattempo
sparirono anche Oxùm e Oià, le due favorite del grande re.
I mangbàs, i ministri, interrogarono i sacerdoti e ne ebbero la conferma, così
istituirono il culto del nuovo Orixà attribuendogli, a livello spirituale, le
medesime preferenze personali che aveva in vita, offrendogli i cibi che più
amava.
Le tempeste terminarono e le violenze si placarono, tutto tornò come prima. Fu
organizzato un nuovo consiglio di ministri incaricati di mantenere vivo il
culto. Questi furono scelti tra antichi re, principi e governanti dei territori
conquistati dalla valenza di Xangò.
Nel Candomblé il ricordo di questo consiglio si è mantenuto nel gotha dei
dodici ogàns più vecchi del terreiro (tempio). La loro superiorità e il loro
prestigio è evidente, tant'è che il loro parere è sempre considerato
indispensabile prima di prendere qualunque decisione. In caso di morte di uno
di questi, la carica viene subito presa da un altro affinché il loro trono
-sono collocati alla destra e alla sinistra del sacerdote - non resti vacante.
Secondo la tradizione, Xangò in Brasile ha dodici manifestazioni. Tra queste
ricordiamo Ogodò, chiamato anche Beri o Djacutà, che corrisponde al re Oraniyàn. È il signore del tuono e della giustizia per esteso. Qualunque causa o processo sarà risolto nel migliore dei modi da questo poderoso e anziano Orixà.
Agajò è uno Xangò che ha il compito di proteggere e aiutare le anime nel trapasso dal piano terrestre a quello spirituale, ed è sincretizzato con San Pietro Apostolo.
Aganjù, il primo Xangò, il Babà Dijinà, è il padre di tutti gli altri, corrisponde a San Giuseppe o San Cristoforo nella mescolanza sincretica. L'archetipo rivestito da questo Orixà è contraddittorio: per taluni Aganjù è il firmamento, ciò che sta tra le acque salmastre di Iemanjà e il cielo di Obatalà. Per altri è la sintesi di fuoco e roccia allo stato fluido: il magma.
Oxossi è l'Orixà della
caccia, lo spirito delle foreste (Senhor da Mata) e delle bestie feroci.
Insieme a Ogùm ed Exù forma la triade delle divinità guerriere Yoruba.
Oxossi è istinto, introspezione, strategia, ma anche abbondanza e sazietà.
Nella vita di tutti i giorni è l'alimentazione, ciò che mangiamo, il
nostro pane quotidiano. La caccia infatti altro non era che l'unico sistema dei
nostri antenati per procurarsi carne.
Di stirpe regale come Xangò, fu re di Alaketo e il suo culto è svolto generalmente nel folto della boscaglia. Le divinità africane, in Brasile, si scontrarono anche con gli dei delle popolazioni indigene, come Uiara, Iurapuru, Jaci, Aimorè. Questo fatto creò una religione all'interno di un'altra e nacque così il Culto do Caboclo, divinità suprema del quale è Oxossi.
I
caboclos sono tutte quelle entità, maschili o femminili, venerate
nella foresta e che fanno capo sempre e comunque alla famosa divinità africana.
Il Culto do Caboclo non è però separato dalla struttura afrobrasiliana, ma perfettamente integrato in essa. Il Santo cattolico che cela quello
africano è, nell'Umbanda, San Sebastiano.
Oxossi è considerato l'Orixà della "fartura", ossia
dell'abbondanza, a lui ci si rivolge per ottenere anche aiuto a livello
economico. Inoltre, essendo considerato un grande cacciatore, difende dalle
trappole di ogni genere e il suo ausilio è richiesto per uscire dal carcere,
per liberarsi da vincoli o per spezzare ogni tipo di legame negativo o
dipendenza.
Essendo l'Orixà dell'alimentazione, ha potere sul
metabolismo, quindi può risolvere problemi di anoressia e bulimia. È un
tutt'uno con la foresta, da cui trae nutrimento, ma senza mai alterarne
l'equilibrio: prende solo ciò che serve per sopravvivere, conscio delle proprie
necessità ma anche di quelle della natura. Nella sua manifestazione Okè diventa paladino dell'arte, del senso civico e urbanistico, combattendo disordine e
vandalismo, le brutture moderne.
Libero all'interno del suo verde e florido ambiente, protegge
l'indipendenza e la libertà, sia intellettuale che fisica.
Ogùm, in principio spirito tutelare dell'omonimo fiume in Nigeria, è il signore del ferro, della guerra, della metallurgia e per esteso del
lavoro.
Determinato, energico, impetuoso e istintivo, Ogùm risolve rapidamente ogni
problema pratico e manuale, non conosce ostacoli e apre tutte le strade
spirituali e materiali.
Compagno inseparabile di Exù e amico del valoroso Oxossi, Ogùm fa del
coraggio, della determinazione e del valore i propri punti di forza.
Ogùm rappresenta la vittoria sul nemico, ma anche contro il male, contro cui l'indomito combattente si scaglia.
L'arma brandita da questo valoroso guerriero è la spada, simbolo fallico e virile, un'arma che non può creare, ma
che usa per recidere, scolpire, distruggere e mutare ciò che già esiste. Esotericamente, la spada gli consente di segmentare la complessità in parti più semplici: il suo insegnamento spirituale è pragmatico e marziale. Il metallo è sotto il suo dominio: Ogum si
trova negli stabilimenti industriali, nelle rotaie e nei ponti, ma anche nelle
lamiere degli incidenti stradali. Vi è un po' del santo guerriero anche nelle
vibrazioni di alcuni Orixas che brandiscono un'arma di metallo, come Yansà, Obà
e Oxaguian.
Secondo
la tradizione esistono sette dijinas (manifestazioni) di Ogùm: un mito vuole
spiegare la presenza di queste sette qualità dellOrixà guerriero.
Ogùm fu il primo marito di Oià/Yansà, l'Orixà del vento, delle saette e dei
cimiteri.
Lui era fabbro e a lei toccava l'onere di caricare gli arnesi dell'officina e attivare il fuoco della forgia. Yansà non amava quella vita, litigavano
continuamente, senza contare il fatto che aveva per la testa Xangò e nel cuore
meditava già di fuggire con lui. Yansà aveva il potere di trasformarsi in
bufalo e dopo l'ennesima lite, per sfuggire al marito e frequentare Xangò, si
trasformò in animale e andò nella foresta. Quando Ogùm la trovò iniziarono a
combattere a colpi di spada. Ogùm divise Iansà in nove Oià, mentre la sua
combattiva compagna lo divise in sette. Da allora ci sono nove Oià e sette
Ogùm.
Le nove Oià sono i nove affluenti del Niger, di cui Yansà è signora.
Nel sincretismo Ogùm viene rappresentato con San Giorgio.
L'axè di Ogum si invoca per sbrogliare una situazione,
sbloccandola in maniera rapida e risoluta, è l'Orixà "Vencedor de
domanda", colui che "abre caminho da ferratura", ossia che apre le porte alla fortuna: il ferro di cavallo, sotto il
suo dominio, rappresenta non solo le buone opportunità della sorte, ma anche un
mezzo indispensabile per intraprendere un tragitto verso il nuovo.
Ecco perché spesso le offerte a Ogum si portano in prossimità di strade, rotaie
o autostrade: sono le vie da imboccare per giungere a nuove opportunità, allo
sblocco di situazioni stantie. Ogum ci aiuta con la sua spada e ci sprona ad
andare oltre le difficoltà, verso la meta.
La presenza di un fiume, nel passato, significava acqua per l'uomo, per i suoi animali e per far crescere i prodotti della terra. Acqua significa vita, progresso, abbondanza, sviluppo e contatto con altre terre, altre popolazioni: è il primo segno di vita, nonché collegamento perfetto, il tessuto connettivo della Terra.
Oxùm, sincretizzata in
Brasile con l'Immacolata Concezione, è considerata la Signora del fascino,
dell'amore, del sorriso e della bellezza: una Afrodite dalla pelle
d'ebano, anch'essa nata dal mare (Yemanjà) e soggetta a passioni non sempre
spirituali e caste.
I termini con cui ci si rivolge più spesso a questa Santa sono
"Yeyé", madre, e "Doce", dolce.
È madre in quanto simbolo di fecondità e parto, come Yemanjà, tuttavia questa
maternità deve essere considerata in una maniera più complessa e pervasiva.
Come signora della Concezione, Oxùm incarna la creazione e la fecondità, dunque è patrona delle arti in generale, ma anche di quelle oratorie e dialettiche. È colei che dona nuova vita: sebbene
la crescita e l'allevamento siano sotto la responsabilità della più adulta
Yemanja, senza l'innocente languore di Oxum non si avrebbero l'attrazione,
l'unione e la procreazione.
È l'innamoramento, la seduzione; ha certamente un aspetto passionale, ma privo
del furore di Yansà o della virtuosa forza di Obà: è la cinguettante e giocosa
essenza che a tutto si mescola e tutto addolcisce, la primavera della vita, la
nascita.
Oxùm è dolce e irresistibile, nessuno sa dirle di no, nemmeno
Zambi che, in un mito, pur di assaggiare il miele preparato da questa bellissima
Yabà, trasgredisce le leggi della natura riportando in vita Omolù.
Secondo la tradizione africana le manifestazioni di Oxùm sono
sedici, i nomi che tornano più spesso sono Oxùm Pandà, Oxùm Ibù Kolé, Oxùm
Aparà e Yéyé Kare.
Ci si rivolge a Oxùm per acquisire un po' della sua
dolcezza, per conquistare il prossimo, per favorire la vita sentimentale o per
propiziare la ricchezza: l'oro è il suo metallo prediletto ed ha una spiccata
predilezione per il lusso.
Il suo axè è anche purificante e ricostituente: lo si utilizza
anche semplicemente per nutrirsi. È generosa anche in ambito lavorativo,
soprattutto per le donne, che possono districarsi con agilità in situazioni
professionali difficili facendo ricorso alla dolcezza della splendida Yabà.
Oià,
altrimenti chiamata Yansà, è la signora dei venti, delle bufere e dei
temporali. Terza e ultima moglie di Xangò, nel sincretismo è Santa Barbara, una delle entità più conosciute e
venerate in Brasile, per i fedeli del
Candomblè è regina di Koso.
Bella, impetuosa e passionale, Yansà non accetta vincoli o compromessi
di nessun genere. La sua furia, nel momento dell'ira, è più violenta di quella
dello stesso Xangò. Anticamente era la divinità del fiume Niger, nella
"trilogia" delle signore del fiume (Oxum-Yansà-Obà), è quella che
rappresenta la forza propulsiva del corso d'acqua, con tutte le sue turbolenze.
Figlia di Yemanjà e Aganjù, prima di unirsi a Xangò, Yansà fu compagna indomita
di Ogùm.
Lancia fulmini, saette e scariche elettriche contro i suoi
avversari, li folgora senza pietà in maniera definitiva. Combatte per la
giustizia, è rapida e fulminea.
Yansà ha nove manifestazioni, quanti sono gli affluenti del fiume Niger.
Una delle manifestazioni di Oià più temute è chiamata Balè o Igbalè (Santa Teresa a
Cuba, Santa Barbara in Brasile) ed è la Signora degli Eguns (spiriti dei morti), una
sorta di Ecate dalla pelle d'ebano che brandisce due sciabole e al cui grido di
guerra tremano le anime dei morti e dei vivi.
Yansà
viene invocata soprattutto per difendersi dalle entità negative e, in un certo
senso, può essere considerata una vera e propria esorcista. Il fatto che lanci
fiamme dalla bocca fa di lei la patrona di chi usa la parola per difendere il
prossimo o per attaccarlo, perchè gli Orixàs sono forze talvolta ambivalenti
e operano su più fronti, seppure sempre in funzione del bene.
Per questo la selvaggia e bella Yansà viene spesso invocata per combattere
senza quartiere i nostri nemici o chi ci ostacola.
La sua forza travolgente fa sì che il suo axè sia invocato anche per conquistare
la persona desiderata.
Libera inoltre dai vizi e combatte ogni genere di ipocrisia, facendo trionfare
la verità nuda e cruda, seppur dolorosa.
Obà, in Africa, era la divinità del fiume
omonimo. Nel mito è la prima moglie di Xangò. Obà ne era innamoratissima e si
prodigava nel soddisfarlo in tutto quello che poteva.
Abile cuoca e perfetta donna di casa, sapeva usare il telaio con un'abilità che
lasciava sbalorditi e le sue mani, forti e sicure, confezionavano per il suo
sposo abiti elegantissimi.
Ma Xangò, non appena poteva, si concedeva scappatelle con Oxùm e Iansà.
Obà era disperata al punto che seguì l'ingannevole consiglio di Oxùm, senza immaginare che fosse l'amante del suo compagno, finendo per tagliarsi un orecchio e
cucinarlo in una zuppa di gombos (funghi): "Per
riconquistare un marito non c'è ricetta migliore" le disse Oxùm. Quando
Xangò venne a conoscenza del fatto, ovviamente imbeccato da Oxum, ripudiò Obà ma non l'abbandonò mai definitivamente: per lui resta sempre la sua
Signora.
Nella tradizione brasiliana, Obà è la protettrice
e la consolatrice degli innamorati delusi.
Viene sincretizzata con Santa Caterina d'Alessandria o con
Santa Giovanna d'Arco, governa su tutto quanto si muova su ruote, perciò è legata alle strade, come Exù e, come Ogùm, agli incidenti automobilistici. Per
questo la si invoca prima di lunghi viaggi. Obà ha forti legami anche con i
cimiteri, poiché vi trova la comprensione di Omolù. Abile guerriera, forte come
e più di un uomo ed esperta di caccia e arti marziali, difende altresì dalle
chiacchiere e dalle calunnie, inoltre protegge i giovani negli studi, le sarte
e le tessitrici. È il simbolo della fermezza, non solo in termini di
risolutezza e determinazione, ma anche come capacità di focalizzarsi e restare
saldi in ogni tipo di attività ritualistica e spirituale.
Il suo axè è utilissimo per i rituali d'amore, specie quelli
per riconquistarlo e punire i rivali, e per guarire le malattie alle orecchie e
all'apparato uditivo, che Obà governa. I suoi simboli sono il rasoio, la ruota,
il timone e la palma.
Oxùmaré,
sincretizzato con San Bartolomeo, è l'Orixà serpente, il signore del movimento e
coordinatore del ritmo dell'Universo.
Senza Oxùmaré tutto sarebbe immobile, congelato in un tempo senza tempo,
sterile e privo di senso.
Nel mito è considerato androgino, sei mesi maschio e sei mesi femmina, anche se
in realtà è un tutt'uno con la sua controparte femminile, Ewà.
È il signore della ricchezza e dell'abbondanza, viene identificato anche con
l'arcobaleno, il serpente del cielo.
Fratello di Nanà, appartiene alla Famiglia degli Antichi, ossia degli Orixàs
che precedono la venuta dell'uomo, nato, virtualmente con il parto mistico di
Yemanjà.
In Brasile è considerato il compagno di Ewà, in Africa Orixà legata alle
sepolture, ma in Brasile diventata nume tutelare delle fonti d'acqua, a metà strada tra
la guerriera Yansà e la dolce Oxùm.
In realtà Oxumaré ed Ewà sono Orixà differenti, ma complementari.
La
traduzione letterale della parola Oxumarè è "la corona luminosa della luna", è
una vibrazione misteriosa ma piena di significati: il serpente che si raccoglie su sè stesso per mordersi la coda rappresenta
l'eterno ciclo di metamorfosi, di morte e rinascita a cui ogni cosa e ogni uomo è
soggetto.
Con la sua compagna e controparte femminile Ewà dà vita a una sinuosa e ipnotica
danza d'amore, che tutto muove e mantiene in vita in un eterno e inarrestabile
flusso. In una leggenda si dice che per sei mesi all'anno ruoti attorno al
mondo e per i restanti sei disperda le sue spire luminose nell'universo.
Generato dal dio supremo Olorùm assieme a Irokò (l'albero sacro), lavora in perfetta sinergia con quest'ultimo: Iroko è l'asse portante del mondo, Oxumaré è la forza motrice che genera il movimento attorno al perno.
È anche il signore delle scienze esoteriche, della ricerca e della conoscenza.
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